venerdì 26 settembre 2008

Il Fantasma del Vicolo

Le strade di Cannareggio sono ricoperte di nebbia questa mattina.
Io vago solitaria e l’aria gelida mi trapassa il corpo, ma non sento niente.
Sono anni, tantissimi anni, che non sento più nulla, che percorro queste strade vuote fino all’alba.
Lo faccio per non essere vista da nessuno.
Mi faccio guidare dal vento e giro senza una meta.
Silenziosa.
I miei passi sono così leggeri che, quasi, non toccano il suolo.
Una volta, ricordo, i miei passi erano rumorosi. La mia presenza in strada era gradita da tutti.
Mi piaceva farmi vedere, essere salutata, fermarmi a chiacchierare con la gente di Venezia.
Io, che veneziana non sono, mi sentivo di appartenere a questa città e la vivevo come se fosse mia, amando ogni suo angolo.
Non è più cosi da tempo. Talmente tanto che non riesco neanche più a ricordare.
So solo che la mia vita è cambiata in un istante. Il mio io di prima è svanito così velocemente da non rendermene conto.
Ed ora sono qui a vagare per queste strade, come un fantasma.
Ho perso la cognizione del tempo, ho perso la mia casa, giro sempre con i soliti quattro stracci, vagando alla ricerca del nulla, perché ad ogni passo che faccio sento la mia anima sgretolarsi.
Quando la città inizia a svegliarsi io mi nascondo.
Ho il mio posto segreto, il mio sudicio vicolo, dove non passa mai nessuno e dove io, invece, trascorro la mia esistenza.
E’ un vicolo piccolo, una stradina chiusa, abbandonata, dove dei barboni hanno lasciato stracci, un materasso ammuffito e altre cianfrusaglie, che ormai fanno solo cattivo odore.
Si vivo a ridosso di piccola discarica a cielo aperto, ma non ne sono infastidita, perché non sento il fetore che emana. Io non sento nulla. Io mi limito, ogni giorno, ad entrare nel vicolo, scavalcare la mondezza ed arrivare all’angolo, dove mi appoggio alla parete.
Lì rimango tutto il giorno. In piedi, con le mani ed il resto del mio corpo attaccato a quel muro umido.
Passo così i miei giorni. Non mi muovo, non parlo, chiudo gli occhi, ma respiro.
Io e il muro uniti da una specie di colla vitale.
Mi stacco da lì solo la notte, quando le strade si svuotano, solo per prendere aria, ma ogni volta che mi allontano il respiro si fa pesante ed io inizio a soffocare. L’aria che cerco nelle mie disperate passeggiate notturne, la ritrovo soltanto quando, la mattina, ritorno nel vicolo e mi appoggio al muro.
L’umidità che ricopre quella vecchia parete, mi dà la vita e riaccende i ricordi nella mia testa.
Le feste nel palazzo ducale, i riconoscimenti alla mia famiglia di mercanti.
Il Ghetto di Venezia, con i suoi abitanti ed i tesori nascosti.
Le domeniche in chiesa e lui.
Lui che, ho incontrato proprio lì, nella cattedrale di San Marco.
Lui, che ogni domenica aveva occhi solo per me.
Ci siamo incontrati tante volte per strada, ma nessuno dei due ha mai detto nulla.
Uno scambio di sguardi e via, ognuno nella sua direzione.
Una storia romantica, assolutamente platonica, che è durata un anno intero e che io tenevo segreta, perché sapevo che era un amore impossibile.
Questi ricordi riaffiorano nella mia vecchia testa ed io li accolgo perché raccontano momenti sereni e li rivivo ogni volta con estremo piacere.
Poi la sera, dopo il tramonto, il sorriso ritrovato, scompare dal mio viso.
Accade tutte le sere alla stessa ora, come un orologio io perdo i sensi, vengo risucchiata dal vicolo e rivivo il mio ultimo ricordo.
“Domenica notte.
Cannareggio era avvolta nella nebbia.
Senza far rumore sono uscita di casa, avvolta nel mio mantello di velluto scuro, con il volto coperto da una maschera.
I miei passi leggeri, silenziosi, veloci.

Ho superato diversi ponti, per fortuna senza incontrare anima viva, poi ho svoltato a sinistra. Ho costeggiato il canale ed ho girato di nuovo a destra.
Sono così entrata in un vicolo.
Avevo studiato il percorso da fare, fino a quel luogo, in ogni suo dettaglio.
Ero lì a quell’ora, perché così c’era scritto nel biglietto che avevo trovato sulla mia panca in chiesa. Non mi ero fatta domande, sapevo che quel messaggio era indirizzato a me e non avevo alcun dubbio su chi era stato a mandarmelo.
Ricordo che il mio cuore batteva fortissimo ed io potevo sentirlo salire fino alla gola.
Sola, nascosta nella penombra ero in attesa.
Lo vidì arrivare da lontano, poco dopo.

Il corpo coperto da un mantello nero e sul volto la Bauta.
Si avvicinava, veloce come un essere demoniaco, ma quando i nostri occhi si sono incrociati, la nebbia ed il freddo di quella notte sono svaniti.
E’ caduta la maschera, il mantello, tutto quello che poteva separarci.
Non abbiamo detto una parola, erano i nostri sguardi a parlare per noi.
E lì in quel vicolo, in quel angolo di Venezia, addosso a quella parete umida ho vissuto il momento più intenso di tutta la mia vita.
Il mio ultimo momento da viva”.

C’è una leggenda che gira per le strade di Cannareggio.
E’ la triste storia di una giovane donna trovata morta in un vicolo, in una fredda mattina di Gennaio.
La leggenda racconta che è stata uccisa per mano di un importante uomo di chiesa, perché aveva osato allontanare dalla vita spirituale un giovane, figlio di una delle più ricche famiglie di Venezia.
Del giovane non si è mai saputo nulla, c’è chi racconta di averlo visto fuggire in mare su una nave diretta in Spagna, c’è chi invece dice che si sia ucciso, buttandosi nel canal grande pochi mesi dopo.
La giovane donna, invece, vive una vita da non morta ed ogni notte esce dal suo vicolo e cerca inconsapevole il suo amore perduto.

(storia inventata e scritta da Ale. Z.)

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